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EconomiaStati Uniti

La Fed agisce nell’ombra: taglio dei tassi in un mare di incertezza e dati contraddittori

La Fed taglia di nuovo i tassi d'interesse in un clima di incertezza e divisione

Zythos Business
Ultimo aggiornamento Novembre 3, 2025 12:50 pm
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La Fed agisce nell'ombra: taglio dei tassi in un mare di incertezza e dati contraddittori
La Fed agisce nell'ombra: taglio dei tassi in un mare di incertezza e dati contraddittori
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In una delle decisioni più complesse e attese dell’anno, la Federal Reserve degli Stati Uniti (Fed) ha effettuato un secondo taglio consecutivo dei tassi di interesse, una misura preventiva per sostenere un mercato del lavoro che mostra segni di affaticamento. Tuttavia, la mossa, lungi dal proiettare fiducia, ha messo in luce le profonde spaccature ideologiche all’interno della banca centrale e ha evidenziato la straordinaria nebbia che avvolge l’economia statunitense. Il Federal Open Market Committee (FOMC) ha ridotto il suo tasso di riferimento di 25 punti base, portandolo a un nuovo intervallo obiettivo del 3,75%-4,00%, il livello più basso da quasi tre anni.

Contenuti
  • Navigare a vista: la doppia sfida dello shutdown e di un mercato del lavoro indebolito
  • L’inflazione persistente e il dilemma dei dazi: l’altro lato del doppio mandato
  • Una decisione spaccata: le voci dissenzienti all’interno del comitato della Fed
  • La fine del “Quantitative Tightening”: un cambiamento sottile ma significativo
  • Powell in bilico: tra pressione politica e incertezza futura
  • Reazioni dei mercati e prospettive globali: cosa significa la decisione per gli investitori e le altre banche centrali?

Questa misura non è stata, neanche lontanamente, unanime. La votazione di 10 a 2 rivela una frattura significativa sulla direzione della politica monetaria, incapsulando il dilemma centrale della Fed: dare priorità allo stimolo dell’occupazione, anche a rischio di tollerare un’inflazione che rimane ostinatamente al di sopra del suo obiettivo del 2%?

La complessità del momento è senza precedenti. Lo “shutdown” parziale del governo federale, che si avvicina al suo primo mese, ha sospeso la pubblicazione di statistiche economiche vitali, costringendo i responsabili della politica monetaria a “navigare a vista”, secondo le parole di diversi economisti. Il presidente della Fed, Jerome Powell, ha ammesso che la situazione è “impegnativa”, dovendo bilanciare i rischi al ribasso per l’occupazione con i rischi al rialzo per l’inflazione.

Contemporaneamente, la Fed ha annunciato un’altra decisione di rilievo: la conclusione del suo programma di riduzione del bilancio (Quantitative Tightening o QT) a partire dal 1° dicembre. Questa mossa, sebbene di natura tecnica, segna una svolta sottile ma inequivocabile verso una politica meno restrittiva, motivata dalle crescenti tensioni di liquidità sui mercati finanziari.

MetricaDecisione / DatoContesto / Implicazione Chiave
Tasso di interesse dei fondi federaliTaglio di 0,25 punti. Nuovo intervallo: 3,75% – 4,00%.Secondo taglio consecutivo. Mira a sostenere il mercato del lavoro nonostante l’inflazione elevata.
Voto del Comitato (FOMC)10 favorevoli, 2 contrari.Decisione non unanime. I dissenzienti chiedevano un taglio maggiore (Miran) o nullo (Schmid), riflettendo una profonda incertezza.
Riduzione del bilancio (QT)Terminerà il 1° dicembre.Pone fine all’inasprimento quantitativo. Risponde alle tensioni di liquidità e normalizza la politica di bilancio.
Guida futura (Forward Guidance)Un taglio a dicembre “non è una conclusione scontata”.Powell raffredda le aspettative del mercato su ulteriori tagli automatici, sottolineando la dipendenza dai dati futuri.

Navigare a vista: la doppia sfida dello shutdown e di un mercato del lavoro indebolito

La giustificazione principale per il taglio dei tassi risiede nella crescente preoccupazione della Fed per la salute del mercato del lavoro. Nel suo comunicato e nella successiva conferenza stampa, il presidente Powell ha descritto un quadro di raffreddamento graduale ma evidente, definendo il mercato del lavoro “meno dinamico e un po’ più debole” rispetto all’inizio dell’anno. Questa valutazione si basa su un rallentamento della creazione di posti di lavoro e un leggero aumento del tasso di disoccupazione, che ad agosto, ultimo dato ufficiale disponibile, ha raggiunto il 4,3%, il livello più alto dal 2021.

Il problema fondamentale per il FOMC è che questa fotografia è ormai superata. La nebbia informativa causata dallo shutdown del governo impedisce di avere una visione chiara dell’evoluzione recente, poiché il Bureau of Labor Statistics (BLS) ha sospeso le sue pubblicazioni. Questa situazione ha lasciato la Fed a “navigare a vista”, costringendola a basare le sue decisioni su dati alternativi e meno completi. Powell ha ammesso che “alcuni dati importanti del governo federale sono stati ritardati”, pur precisando che le informazioni disponibili da fonti pubbliche e private non suggerivano un cambiamento drastico delle prospettive.

Tra queste fonti alternative, spicca il rapporto dell’elaboratore di buste paga ADP, che indicava una perdita netta di 32.000 posti di lavoro nel settore privato a settembre. Sebbene non sia un sostituto perfetto del rapporto ufficiale, questo dato ha rafforzato la narrazione di un rallentamento e ha probabilmente fatto pendere la bilancia a favore di un taglio. Powell ha anche indicato fattori strutturali, come una minore immigrazione e un calo del tasso di partecipazione alla forza lavoro, che stanno influenzando l’offerta di manodopera.

Questa dipendenza da dati parziali ha trasformato il paradigma operativo della Fed. Il suo mantra di essere un’istituzione “dipendente dai dati” (data-dependent) si è trasformato in una realtà di “privazione di dati” (data-deprived). L’incertezza è passata da essere una variabile economica da gestire a un ostacolo procedurale. L’eloquente analogia di Powell — “Cosa fai se guidi nella nebbia? Rallenti” — non è una semplice figura retorica. È la descrizione precisa di una crisi metodologica. Quando la visibilità è nulla, l’azione predefinita è la cautela, il che trasforma la stessa mancanza di dati in un potente argomento contro nuove azioni audaci a dicembre. La paralisi politica a Washington ha generato una paralisi informativa che minaccia di tradursi in una paralisi della politica monetaria.

L’inflazione persistente e il dilemma dei dazi: l’altro lato del doppio mandato

Se la debolezza del mercato del lavoro spingeva la Fed a tagliare i tassi, la persistenza dell’inflazione esercitava una forza altrettanto potente nella direzione opposta. Questo è il nucleo del dilemma che la banca centrale si trova ad affrontare, intrappolata nel conflitto insito nel suo doppio mandato: promuovere la massima occupazione e mantenere la stabilità dei prezzi.

I dati più recenti, che sono stati pubblicati, mostrano un’inflazione ben al di sopra dell’obiettivo del 2%. L’Indice dei Prezzi al Consumo (IPC) di settembre si è attestato al 3,0% su base annua, sia nella sua versione generale che in quella “core” (che esclude energia e alimentari). Componenti chiave come l’abitazione (shelter) rimangono elevate, con un aumento annuo del 3,6%. La metrica preferita dalla Fed, il deflatore della spesa per consumi personali (PCE), sebbene leggermente più moderata, rimane anch’essa elevata, con una stima del 2,8% per lo stesso periodo. Lo stesso comunicato del FOMC riconosce che “l’inflazione è aumentata dall’inizio dell’anno e rimane alquanto elevata”.

Questo contesto è complicato da un fattore esogeno: la politica dei dazi dell’amministrazione Trump. Powell ha riconosciuto che i dazi stanno spingendo al rialzo i prezzi di alcuni beni. La Fed si trova di fronte all’incertezza se questo effetto sarà transitorio o persistente. Lo “scenario di base” di Powell è che i dazi provochino un “cambiamento una tantum del livello dei prezzi”. Tuttavia, ha anche ammesso il rischio che l’impatto inflazionistico possa essere “più persistente”, uno scenario che richiederebbe una risposta molto più energica.

Questa situazione pone la Fed di fronte a una scelta difficile. La politica monetaria tradizionale è efficace nel combattere l’inflazione da domanda, ma è molto meno adatta a contrastare un’inflazione da costi (cost-push), come quella provocata dai dazi. Tentare di soffocare questo tipo di inflazione con aumenti dei tassi potrebbe schiacciare l’attività economica senza risolvere la causa originaria dell’aumento dei prezzi.

La decisione di tagliare i tassi in questo contesto è un chiaro segnale delle attuali priorità del comitato. Rivela che, nella bilancia dei rischi, il FOMC teme più una recessione causata da un mercato del lavoro in deterioramento che il rischio che un’inflazione del 3% si disancori dalle aspettative. È una scommessa calcolata: tollerare un’inflazione al di sopra dell’obiettivo a breve termine per dare un po’ di respiro all’economia reale, nella speranza che lo shock dei dazi sia, effettivamente, temporaneo.

Una decisione spaccata: le voci dissenzienti all’interno del comitato della Fed

Il voto finale di 10 a 2 non è un mero dettaglio tecnico; è la manifestazione più chiara del bivio politico in cui si trova la Federal Reserve. I due voti dissenzienti rappresentano i poli del dibattito interno e incarnano le narrazioni contrapposte che competono per definire lo stato dell’economia.

All’estremo più accomodante (le “colombe”), si trova Stephen Miran, un governatore nominato dal presidente Trump. Per la seconda riunione consecutiva, Miran ha votato per un taglio dei tassi più aggressivo, di 50 punti base. La sua posizione riflette la visione che l’economia si trovi di fronte a un rischio imminente di rallentamento. In questa prospettiva, l’indebolimento del mercato del lavoro è il principale campanello d’allarme, e la Fed starebbe agendo con troppa timidezza. La sua visione si riflette nelle proiezioni anonime (“dot plot”) della Fed, dove un membro (presumibilmente Miran) sostiene che i tassi dovrebbero trovarsi in un intervallo del 2,75%-3,00% entro la fine del 2025, il che implicherebbe tagli molto più profondi.

Al polo opposto, quello dei “falchi”, si colloca Jeffrey Schmid, presidente della Federal Reserve di Kansas City, che ha votato per mantenere i tassi invariati. Questa posizione rappresenta l’ortodossia della lotta all’inflazione. Per Schmid, il principale fallimento della politica monetaria è un tasso di inflazione che è il doppio dell’obiettivo del 2%. Da questo punto di vista, tagliare i tassi è pericoloso, poiché potrebbe essere interpretato come un segnale che la Fed sta cedendo sul suo impegno per la stabilità dei prezzi, rischiando la sua credibilità anti-inflazionistica.

Jerome Powell ha apertamente riconosciuto l’esistenza di “opinioni molto divergenti” all’interno del comitato, specialmente sulle mosse da fare a dicembre. Ha spiegato che i membri hanno previsioni diverse e diversi livelli di avversione al rischio: alcuni sono più avversi a deviazioni dall’obiettivo di inflazione, mentre altri lo sono a deviazioni dall’obiettivo di occupazione.

In questo contesto, il taglio di 25 punti base emerge non come un consenso solido, ma come un fragile compromesso. È la via di mezzo che cerca di rispondere alle preoccupazioni sull’occupazione senza abbandonare completamente la vigilanza sull’inflazione, anticipando che le decisioni future continueranno a essere oggetto di un intenso dibattito.

La fine del “Quantitative Tightening”: un cambiamento sottile ma significativo

Oltre al taglio dei tassi, la riunione di ottobre ha portato un’altra decisione strategica: la fine del programma di riduzione del bilancio della Fed, noto come Quantitative Tightening (QT). A partire dal 1° dicembre, la banca centrale smetterà di ridurre attivamente le dimensioni del suo portafoglio di attività, che si era ridotto di 2,2 trilioni di dollari negli ultimi tre anni e mezzo.

Il QT è il processo inverso al Quantitative Easing (QE) e, quindi, una forma di inasprimento monetario. Porre fine al QT è, di conseguenza, una misura accomodante. La giustificazione della Fed è puramente tecnica, ma rivela preoccupazioni sulla stabilità del sistema finanziario. Powell ha spiegato che sono emersi “segnali chiari” che le riserve bancarie stanno passando da un livello “abbondante” a uno semplicemente “ampio”.

Questi segnali di stress si sono manifestati sui mercati monetari, in particolare sul mercato dei pronti contro termine (repo), dove le istituzioni si prestano liquidità a breve termine. Ponendo fine al QT ora, la Fed agisce in modo preventivo per evitare una crisi di liquidità come quella vissuta a settembre 2019. Sebbene sia passata più inosservata, questa decisione elimina un fattore di restrizione monetaria. La Fed continuerà a lasciare scadere le sue partecipazioni in titoli garantiti da ipoteca (MBS), ma reinvestirà i proventi in buoni del Tesoro, modificando la composizione del suo bilancio verso attività più liquide e di durata inferiore.

Powell in bilico: tra pressione politica e incertezza futura

La comunicazione della politica monetaria è quasi tanto importante quanto la politica stessa, e nella conferenza stampa successiva, Jerome Powell ha eseguito un delicato esercizio di equilibrismo. Da un lato, ha dovuto gestire la persistente pressione politica della Casa Bianca, con il presidente Trump che ha ripetutamente criticato Powell per non aver abbassato i tassi con maggiore aggressività.

Tuttavia, la sua sfida principale è stata gestire le aspettative dei mercati. Prima della riunione, gli investitori davano per scontato un nuovo taglio a dicembre. Consapevole di ciò, Powell ha usato un linguaggio insolitamente forte per raffreddare quell’ottimismo, dichiarando che un nuovo taglio “non deve essere considerato una conclusione scontata; anzi, è tutt’altro”.

Questo avvertimento ha avuto un effetto immediato. Le probabilità di un taglio a dicembre sono crollate dall’85% a circa il 62%, e analisti come quelli di Nomura hanno rivisto le loro previsioni, passando dall’aspettarsi un taglio a prevedere una pausa. Powell ha insistito sul fatto che la politica monetaria “non segue un percorso prestabilito” e che il comitato “raccoglierà ogni singolo dato che riuscirà a trovare” prima di decidere.

Questo cambiamento nella comunicazione è una strategia deliberata per recuperare flessibilità. In un ambiente di estrema incertezza, con dati contraddittori e un comitato diviso, impegnarsi in anticipo su un percorso politico è un rischio troppo alto. Introducendo una dose di ambiguità strategica, Powell costringe i mercati a tornare a essere veramente “dipendenti dai dati” e si concede il massimo margine di manovra per reagire a informazioni economiche che, ad oggi, non esistono nemmeno.

Reazioni dei mercati e prospettive globali: cosa significa la decisione per gli investitori e le altre banche centrali?

La reazione iniziale dei mercati è stata ambivalente, riflettendo la dualità del messaggio. Il taglio atteso era positivo, ma il tono cauto di Powell sul futuro ha deluso coloro che speravano in un ciclo di allentamento più prolungato. Di conseguenza, l’indice del dollaro si è rafforzato dello 0,4%, l’oro è sceso dell’1,2% e l’S&P 500 ha chiuso con un leggero calo dello 0,3%.

Per gli investitori in Italia e in Europa, la decisione della Fed deve essere analizzata in un contesto di crescente divergenza tra le principali banche centrali. Mentre la Fed ha ripreso i tagli, le sue controparti europee hanno adottato una posizione di attesa.

La Banca Centrale Europea (BCE), nella sua riunione di ottobre, ha mantenuto il suo tasso sui depositi al 2,0%, segnalando una pausa nel suo ciclo di allentamento. La presidente Christine Lagarde ha indicato che l’economia dell’Eurozona mostra resilienza e che l’inflazione si sta stabilizzando, riducendo l’urgenza di nuovi stimoli. Allo stesso modo, si prevede che la Banca d’Inghilterra (BoE) manterrà i suoi tassi al 4,0% nella sua prossima riunione, mentre affronta le proprie sfide.

Questa divergenza segna un punto di svolta. Negli ultimi anni, il mondo si era abituato a una politica monetaria globale sincronizzata. Ora, quel fronte comune si sta incrinando. La Fed si muove per preoccupazioni interne sull’occupazione; la BCE fa una pausa grazie a un’inflazione più contenuta; e la BoE affronta la sua complessa congiuntura.

Questo disaccoppiamento ha implicazioni significative per i flussi di capitale e i mercati valutari. Una Fed più accomodante della BCE potrebbe, a medio termine, esercitare una pressione al ribasso sul dollaro rispetto all’euro, man mano che i differenziali dei tassi si restringono. Per le aziende europee, ciò potrebbe rendere più economiche le importazioni dagli Stati Uniti, mentre per gli investitori italiani, influenzerebbe la redditività dei loro asset denominati in dollari.

In conclusione, l’ultima decisione della Fed non è solo un evento economico statunitense; è un segnale della fine di un’era di politica monetaria globale sincronizzata e l’inizio di un mondo “a più velocità”. La nebbia che avvolge l’economia statunitense non solo oscura la visione di Jerome Powell, ma preannuncia anche un periodo di maggiore volatilità per gli investitori di tutto il mondo.

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